La Consorteria Petrolifera – Viaggio nel polmone nero del Potere italiano. Capitolo III: la Piramide (del Potere)

Questo articoli è stato pubblicato su The Blazoned Press il 27 giugno 2014

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guardia di finanza

Dai cento giorni…

A Genova, mentre gli inquirenti indagano sull’aggiotaggio, Riccardo Garrone definiva un progetto per il raddoppio della capacità produttiva della raffineria ligure che prevedeva lo spostamento degli impianti ad Alessandria. La forte opposizione di amministratori locali e comitati cittadini fece spostare l’obiettivo di qualche centinaio di chilometri più a sud, verso la Sicilia.

Bastarono 100 giorni infatti per ottenere tutte le autorizzazioni necessarie alla costruzione della raffineria Isab di Melilli (Siracusa), per la quale venne creata una “partnership” tra Garrone, gli armatori genovesi Cameli e la Fiat.
Fu il piano regolatore cittadino, questa volta, ad essere in netta opposizione con l’idea del gruppo. Per questo venne preparata una tangente di due miliardi da ripartire tra i principali partiti locali – Dc e Psi – iscritta nel bilancio delle società come “spese extra non documentabili e non contabilizzate”, stando al “promemoria riservato” del 3 maggio 1971 sequestrato dalla Guardia di Finanza presso l’abitazione di Giampiero Mondini, cognato di Garrone ed amministratore delegato della Garrone Petroli Spa.
La quota più importante spettò alla Dc, partito di maggioranza relativa i cui esponenti – scrive Mario Almerighi in Petrolio e Politica[1] – “occupavano posti chiave nelle amministrazioni centrale, regionale e locale.

Saranno in tutto ventinove gli indagati per questa tangente. Tra questi l’assessore comunale Santi Nicita – prosciolto in appello – l’ex presidente della Provincia Nino Gullotti, l’ex ministro Giovanni Gioia, Giampiero Mondini e gli armatori Cameli oltre a Riccardo Garrone, Gregorio Arcidiacono, Filippo Micheli, Sergio Meconi, Raffaele Girotti, già coinvolti nell’indagine dei “pretori d’assalto” liguri.
Il processo si concluderà nel 1986 con l’annullamento di tutte le condanne per prescrizione del reato.

Petrolio, ambiente e tumori
Chiusa la vicenda giudiziaria, dello “scandalo dei 100 giorni” rimangono, a tutt’oggi, i danni ambientali.
Già all’epoca il Comitato tecnico-amministrativo, l’ufficiale sanitario di Siracusa e una terza commissione nominata dall’Assemblea Regionale riportavano nelle proprie relazioni il forte impatto ambientale e sanitario che l’impianto avrebbe avuto in un’area industriale – quella tra Augusta, Melilli e Priolo, non per caso nota come “il triangolo della morte” – che già vedeva la presenza di due cementerie, una centrale termoelettrica nonché delle raffinerie della Montedison (Melilli) e della Rasiom (Augusta).
Insomma: non c’era bisogno di aggiungere altro inquinamento ad un’area industriale che, già così, assomigliava più ad una bomba ecologica e sanitaria.

Secondo i dati 2011 dell’Associazione Italiana Registro Tumori, il sito di interesse nazionale (Sin) Augusta-Priolo ospita oggi “cinque Raffinerie di prodotti petroliferi, due centrali Enel, un impianto di gassificazione e cogenerazione, una fabbrica di magnesite, una Cementeria, un Depuratore di reflui industriali e civili ed un Cantiere Navale”.
E se a Siracusa persino il latte materno risulta inquinato, a Sarroch, in Sardegna, i bambini stanno subendo “significativi danni e alterazioni del Dna” per la presenza degli stabilimenti della Saras, di proprietà della famiglia Moratti.
Ma almeno a Cagliari il denaro del petrolio ha portato uno scudetto di calcio come premio di consolazione.

Intanto, mentre l’Italia iniziava a gettare le basi di una politica anti-ambientalista i cui effetti si fanno, oggi, sempre più evidenti, le tangenti sul petrolio prosperavano.

…ai 2.000 miliardi

I giornali non fanno in tempo a chiudere la cronaca del primo “scandalo petroli” che a Treviso viene scoperta una maxi-evasione fiscale sull’imposta di fabbricazione dei prodotti petroliferi – uno dei provvedimenti sottoposti a tangente – da 2.000 miliari di lire dovuta alla creazione di un sistema di contrabbando che coinvolse petrolieri, uomini politici, alti vertici della Guardia di Finanza legati alla massoneria così come la “piccola manovalanza” del personale dei depositi o degli autisti delle autobotti con le quali il petrolio veniva materialmente trasportato.
Quello che diventerà noto come lo “scandalo dei 2.000 miliardi” fu una gigantesca inchiesta giudiziaria che vide occupate, tra il 1977 ed il 1982, venti procure della Repubblica e circa quaranta magistrati.

Contrabbando ed evasione facevano parte di un sistema integrato di truffa: il carburante, sostenevano i petrolieri, arrivava in Italia per la raffinazione ma veniva distribuito all’estero, un sistema che per legge non era soggetto a carico fiscale. Nella realtà dei fatti questo veniva invece trasportato in tutta Italia attraverso la falsificazione dei documenti di accompagnamento (“H ter 16”), certificando carichi di “gasolio da riscaldamento” e non “da autotrazione” così da ottenere guadagno anche dalla differenza di carico fiscale tra i due tipi.

L’ufficiale della discordia

A individuare la truffa, nel 1975, è Antonio Ibba, capitano dell’Ufficio primo del servizio segreto interno della Guardia di Finanza, autore di tre rapporti sui traffici illeciti della società Costieri Alto Adriatico Spa di Marghera.
Ma nessuno sembrò porre la giusta attenzione alla denuncia, tranne chi decise che il capitano doveva essere trasferito a Catanzaro.

I rapporti finirono comunque sulla scrivania del colonnello Aldo Vitali, che li userà come fonte principale per una nota – dieci pagine e 186 allegati – nella quale evidenziava un gigantesco contrabbando di petrolio da parte della Costieri e dove veniva più volte citato il petroliere Silvio Brunello, titolare della Brunello Lubrificanti. È nel deposito di questa società che verranno trovati i falsi documenti di accompagnamento delle autobotti che costituiscono la prova dell’avvenuta truffa.

Il 21 febbraio 1976 il rapporto è sulle scrivanie del Comandante Generale in Capo della Guardia Di Finanza, Raffaele Giudice, e del maggiore Donato Lo Prete. Entrambi compariranno nella lista degli appartenenti alla loggia P2 sequestrata a Castiglion Fibocchi il 21 maggio 1981 (rispettivamente tessera n. 535 e n. 482).

Come Ibba, anche il colonnello Vitali fu messo a tacere. Per lui il ritorno alla scuola allievi di Roma e l’accusa di essere un credulone, circostanziata da un’inchiesta interna che risulterà scritta con la macchina da scrivere di Giulio Formato, avvocato dei petrolieri coinvolti. Proprio per questo il documento fu considerato l’inconfutabile prova delle collusioni tra il Servizio Informazioni delle Fiamme Gialle e i contrabbandieri.

Le indagini, nel frattempo, proseguivano accertando rapporti illeciti tra la Costieri e la Brunello nonostante chi doveva occuparsene – il colonnello Lino Ausiello, comandante del Nucleo Regionale della Finanza a Venezia – non si prodigasse eccessivamente per la ricerca della verità.

Processo alle Fiamme Gialle

Furono i moduli di accompagnamento sequestrati nei depositi di Brunello, invece, a dare la giusta spinta all’inchiesta.
Dall’analisi di quei documenti, infatti, alla Procura di Torino partì il procedimento “Isomar 1”, dal nome della principale società coinvolta nel contrabbando – la Isomar di Sant’Ambrogio di Susa, appunto – di proprietà del petroliere Pietro Chiabotti, a cui erano destinati i moduli.
L’inchiesta – così come “Isomar 2” il filone d’indagine volto a far luce sui traffici illeciti tra la società e le altre ditte del settore – porterà alla condanna di tutti gli imputati, confermata in appello.

Il 9 settembre 1978 viene arrestato Silvio Brunello. Interrogato, chiamerà in correità nell’attività criminale gli alti gradi della Guardia di Finanza. Tra questi il colonnello Ausiello, sul quale tre mesi dopo verrà aperta un’indagine dal Giudice Istruttore di Treviso con l’accusa di collusione in contrabbando e interesse privato in atti d’ufficio.

Intanto le indagini del procedimento “Isomar 2” portavano al ritrovamento di ulteriori pagamenti dei petrolieri ai vertici della Guardia di Finanza e dello Stato Maggiore, tanto che sarà necessario farne un processo a parte. È così che nell’ottobre del 1980 nasce il processo “Giudice 1”, che terminerà con la condanna di Giudice e Lo Prete, confermata in appello.

Accertato il coinvolgimento della Finanza, i nuovi processi che vennero aperti tra la fine del 1979 e l’inizio del 1980 iniziarono a delineare la rete di rapporti tra le società private coinvolte, nonostante le evidenti “manovre per sviare, insabbiare, bloccare, svuotare l’inchiesta giudiziaria[2] denunciate dai giornalisti Pietro Calderoni e Gianfranco Modolo de L’Espresso, destinatari di un ordine di perquisizione per la redazione e le abitazioni personali spiccato dal sostituto procuratore Domenico Sica.

Intanto le indagini sulla Costieri avevano portato le procure di Torino e Treviso ad indagare sulla società Siplar, gestita da Salvatore Galassi e Vincenzo Gissi, entrambi della Guardia di Finanza. I due intrattenevano stretti rapporti con il petroliere Mario Milani, proprietario della Costieri.
A Treviso inoltre il giudice Felice Napolitano aveva accertato i rapporti d’affari tra Lo Prete e Bruno Musselli, proprietario della raffineria Bitumoil – dai cui impianti partiva il petrolio contrabbandato – e dal 1975 nel direttivo dell’Unione Petrolifera Italiana. Secondo gli inquirenti Musselli e Milani furono i grandi burattinai della truffa.

Le larghe intese del petroliere

Musselli risulterà a capo di un vero e proprio impero, con società operanti nel settore petrolifero tanto quanto in quello immobiliare, finanziario (con la società Sofimi, dalla quale partivano i pagamenti verso i politici) e tessile. Uno di quegli imperi che – allora come oggi – non possono nascere se non si hanno le amicizie giuste.
Neanche per Musselli, legato ai morotei della Democrazia Cristiana attraverso il finanziamento alla Fondazione Moro e Sereno Freato, segretario particolare dell’ex presidente del Consiglio, tanto quanto al Partito Socialista, grazie al quale divenne console cileno a Milano.
Freato fu, insieme ai vertici della Guardia di Finanza, uno dei principali beneficiari degli assegni.

L’”Io so” della Giustizia

A fine ottobre 1980 le indagini passarono, per competenza, da Treviso a Venezia. Vennero emessi, per i rapporti di contrabbando tra la Costieri e la Brunello, ordini di carcerazione per Milani – già in carcere – e altre 17 persone, tra cui Gissi e Galassi.
Nelle indagini entrarono i nomi di Ernesto del Gizzo e Guido Tommasone, direttori generali del Ministero delle Finanze, accusati di aver coperto i petrolieri designando personaggi di fiducia di questi ultimi in posti chiave. Tommasone, secondo un appunto sequestrato al segretario dell’Unione Petrolifera Carlo Cittadini, era anche il trait d’union tra il gruppo dei petrolieri che ruotava intorno a Cazzaniga e i politici coinvolti nel primo scandalo petroli.

Tra le nomine sottoposte ad approfondimento quella a Comandante Generale della Guardia di Finanza di Raffaele Giudice, avvenuta nel 1974. Le indagini della Procura di Torino, infatti, avevano accertato come i petrolieri avessero di fatto finanziato la nomina al fine di avere una copertura di alto vertice al contrabbando.
È per accertare il giro di denaro e potenti che ruota intorno a questa nomina – che coinvolge politici, petrolieri e parroci – che il giudice di Torino, Aldo Cuva, chiede alla Commissione Inquirente del Parlamento di poter indagare il ministro Giulio Andreotti (Difesa) e l’ex ministro Mario Tanassi (Finanze) per corruzione e interessi privati in atti d’ufficio.

Pochi mesi dopo, nel giugno 1981, molti dei tronconi di indagine verranno riuniti un un “maxi-processo” ai principali indagati. Quattro anni dopo, nella richiesta di rinvio a giudizio, i giudici di Torino scriveranno il loro personale “Io so”: il contrabbando e le tangenti ai partiti sono accertate, ma non è possibile provare l’esistenza delle protezioni politiche.

La controsentenza

Per questo, nel 1987, ad essere condannati in primo grado saranno, di fatto, solo petrolieri e uomini della Guardia di Finanza. Due anni dopo l’appello ribalterà gran parte delle decisioni: Freato – ritenuto colpevole in primo grado, ma il reato cadde in prescrizione – verrà assolto definitivamente anche per il reato di truffa, Musselli da quella di corruzione per insufficienza di prove. Il petroliere verrà comunque condannato per il contrabbando di petrolio. Condannato in entrambi i gradi di giudizio Mario Milani, mentre le posizioni di Vincenzo Gissi e Raffaele Giudice saranno stralciate.
La condanna di Donato Lo Prete – otto anni e 200 milioni di multa – confermata in appello venne invece bloccata dalla non eseguibilità. L’estradizione concessa dalla Spagna, dove si trovava da latitante, non riguardava i reati per cui era imputato.
Parte delle condanne verranno annullate dalla prima sezione della Cassazione, presieduta dall'”ammazza sentenze” Corrado Carnevale.

[3 – Continua]

Note

[1] Mario Almerighi, Petrolio e politica – Oro nero, scandali e mazzette. La prima tangentopoli, nuova edizione Editori Riuniti 2006 pag. 121;

[2] P. Calderoni, G. Modolo, “La supertruffa”, in L’Espresso, n.45, 1980, p.56

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